Il Sacro in tutto
M. di Caraba, 02/02/2010 13.59:
Mi spiego con un esempio: finchè l'amore tra due persone è inteso come fisicità, uscire insieme, dirsi le cosette dolci al telefono mandandosi rose e cioccolatini.. ecco, questo è molto profano.
Caro
Amico mio,
sai che non lo so?
Dirsi cosette dolci può essere un qualcosa carico di energie sottili che vanno oltre la sola materia... ed anche la materia va oltre se stessa, mi riferisco al palcoscenico cui accennavo... bisogna vedere cosa c'è dietro.
...E chi può dire, infatti, cosa c'è dietro e dentro un cioccolatino? Io lo dico sempre.
Caro Marchese, secondo me è vero quel che osserva il Bianco Drago, ed allo stesso modo lo è anche il tuo pensiero, nonostante
sembrino due diversi punti di vista.
Personalmente concordo sul fermarsi alla materialità di cui parlava Dragon. Quanto spesso le persone fanno dei vuoti gesti
per dimostrare a sè ed alla piccola fetta di società intorno (vicinato, amici...) il cambiamento di una certa situazione?
Ti porto una margherita perchè ora bisogna pur essere amici, ed è così che si fa tra amici. Ti mando un messaggio, perchè
probabilmente sai che qualcuno mi ha avvisato che sei in ospedale, ed è il minimo che bisogna fare. Ci siamo fidanzati, ed allora
eccomi a scegliere l'anello, i suoceri ci tengono troppo, ecc.
Ma quando ci riappropriamo di noi stessi, o almeno dei nostri gesti, visto che già trovare noi stessi è tanto difficile?
Io credo che chi non ritroverà la padronanza di se stesso come essere libero che liberamente si muove, non troverà mai se stesso,
si troverà immensamente impedito nel farlo, e forse finanche nel ricordarsi di volerlo fare, e si allontanerà sempre più
dal "sacro". Quello dentro di sè, come quello fuori.
Non ha certo torto neppure il Marchese, dicendo che non sempre, quando regaliamo un cioccolatino, diamo qualcosa di
materiale: bisogna vedere, infatti, se v'è in noi per quella persona qualcosa di più sublime ad accompagnarlo, ed anzi ad
ispirare e sostenere il nostro gesto.
Sono propensissima a credere che lo stesso gesto ripetuto una volta senza sostegno di significato, ed un'altra animato da
un "senso", da un pensiero, che è il vero elemento prezioso da far pervenire, non ha lo stesso effetto in emtrambe i casi.
Che si tratti di un dono, come di un gesto solitario qualsiasi.
Perchè, altrimenti, si sarebbe detto un tempo che "quel che conta è il pensiero"? Il vecchio ormai trasandato detto potrebbe
nascondere una origine non poi così banale come ora si presume.
Cosa è, in effetti, a rendere davvero felice o infelice (e tutti i gradi intermedi tra le due possibilità) una qualsiasi
persona, se non lo stato del proprio pensiero? In effetti, pare essere la rappresentazione che ci facciamo delle cose,
e non le cose in sè, a trasmetterci l'impulso delle varie emozioni. E' l'elaborazione che ne facciamo a rendere una situazione
gradevole o meno. Un giocatore di calcio magari è felicissimo mentre insegue faticosissimamente il pallone, cosa che io non mi
sognerei neppure. Un altro è al settimo cielo mentre si nutre di cavallette, perchè sta vincendo la sua scommessa. E' ciò
che pensiamo, tutto quel che conta per noi. Certo, se tutto quel che uno riesce a pensare è che l'esser padrone di una certa
"fortuna" economica debba renderlo necessariamente felice senza altre pretese nè lamentele nè esigenze, per quella persona lì
varrà il vecchio detto per cui in Roll's si piange benissimo, ed altre banalità simili. Ma ad un livello di forme vitali
più sottili, livello che pure esiste e viene sfiorato e raggiunto ovunque nel mondo, i bisogni iniziano ad essere altri,
e più difficili da individuare. Ci si inizia lì a trovare, almeno di tanto in tanto, in "atmosfere" differenti da quella
che sembra oggettiva ai più, e si inizia a valicare l'inizio della sfera del sacro...
Ciao
Viola