Parentesi fiabesca
M. di Caraba, 07/10/2008 12.55:
Tenere gli occhi aperti nella speranza di carpire il Segreto è buona cosa... ma dopo che l'arcano "salta fuori"
(se salta fuori) certamente non ci si ferma.
Cari Amici, mi sento di dirvi che mi ha un po' rattristato il fatto che, mentre il Piccolo Principe lo conosciamo
tutti (perfino io, da poco: Fortuna ha voluto che una mia amica me lo regalasse due anni fa), su C.S. Lewis, inventore
di Narnia, c'è qualche... dubbio. Ma... vi siete iscritti ad un asilo diverso dal mio?
Questo scrittore, uomo di Scienza e professore universitario dell'inizio '900, era persona del tutto "normale",
e sapeva ben sembrare anche un po' svitato, passando il suo Tempo a scrivere fiabe. Ed invece... ehhm... capita che una
persona la sappia molto più lunga di come vuol far credere (ma succede anche il contrario, anzi, più spesso).
Comunque, ho commesso il superficiale errore di far fraintendere il piccolo brano che ho riportato, dal momento che
non ho spiegato nè contesto nè situazioni... cerco di riparare, e se starò annoiando, vorrà dire che la prossima favola
la sceglierete voi.
Dunque. Abbiamo una raccolta di brevi libri (sette), che insieme formano queste Cronache, in cui l'inizio dell'uno
è incatenato al finale dell'altro (oltre ad avere tutti in comune il senso generale, a quanto sembra), ospitando però
personaggi in parte nuovi, e nuove situazioni.
Il secondo libro, "Il leone, la strega e l'armadio", è lo stesso da cui fu tratto il film che uscì anni fa, e che a dire
il vero ha conservato molti spunti di riflessione dati dall'autore.
Senza che vi sto a raccontare tutta la storia, la domanda che assillava i quattro bambini che avevano scoperto
"un certo segreto", al quale non avrebbe mai creduto nessun adulto, era: ne dovremo parlare mai con qualcuno? E con chi?
E questa mi sembra una domanda familiare anche a noi... tanto più che mi è parso di interpretare in tal senso alcune
affermazioni di Semplice-mente, quando si dispiace del fatto che non si parli più chiaramente, che si sembri dare importanza
all'inchiostro, sviando gli altri dal contenuto (così, almeno, mi è sembrato di capire).
Ebbene, riprendendo la nostra storia, uno che poteva credere ai quattro bambini c'è: un uomo anziano cui era avvenuta
la stessa avventura moltissimi anni prima. Era stato, infatti, il protagonista del primo e precedente libro. Il suo
invito, quindi, a tenere "gli occhi ben aperti", non era riferito alla volontà di carpire il segreto (già ricevuto,
si potrebbe dire, per Grazia superiore, del tutto insperatamente), come suppone il Marchese con gran senso logico,
ma all'esser sempre pronti all'inaspettato, ora che sanno che l'inaspettato esiste, e può esser sempre dietro alla porta.
Solo così distingueranno, ogni tanto, qualcuno con cui parlare più apertamente. Perchè sarà, invariabilmente, qualcuno
che coltiva lo stesso loro Segreto...
E qui la nostra domanda si affaccia, effettivamente: come parlarne? Ma poi, perchè parlarne? C'è l'obbligo di farlo,
oppure di non farlo? I bambini, inizialmente, sono un po' perplessi, restando apparentemente soli senza nessun libretto
di istruzioni...
Ciao
Viola