intrecciando qualche filo
prendendo una piccola momentanea distanza dal problema specifico del rapporto tra alchimia e cristianesimo, e tornando a premere il tasto più generale del rapporto tra fede ed alchimia, propongo alla Vostra attenzione un passo del testo di B. J. T. Dobbs, Isaac Newton scienziato e alchimista, (trad. it), Mediterranee, 2002, . 136 e s., che mi sembra abbia il pregio di combinare vari tasselli della nostra discussione.
La citazione non è brevissima
e perciò spero portiate pazienza ; non userò il comando quote (che stavolta funge) perchè mi sembra riduca la leggibilità; il testo che segue è la trasposizione dello scrtto della Dobbs; le frasi di Newton sono riportate << così >>.
- ecco il brano:
"La difficoltà sorse quando ci si incominciò a chiedere come operasse la Provvidenza in un universo limitato da leggi, come quello che stava emergendo dalla nuova scienza. La difficoltà era specialmente ardua nel sistema cartesiano, dove le uniche spiegazioni accettabili erano materia e moto. Anche se Descartes aveva affermato che Dio sosteneva costantemente e attivamente l'universo con la Sua volontà, in effetti a Henry More e altri sembrava che il Dio di Descartes corresse il rischio di diventare un latifondista ozioso, che aveva messo in moto la materia all'inizio, ma poi non aveva nessun modo per esercitare la sua sollecitudine provvidenziale.
Newton affrontò con estrema franchezza questa difficoltà teologica. L'azione meccanica della materia in moto non bastava. Anche ammettendo che questa azione meccanica esistesse tra le particelle e potesse spiegare un'ampia classe di fenomeni, tuttavia non poteva spiegare tutto. Non poteva chiarire i processi della vita, dove principi di coesione e progettualità erano evidentemente operanti. Non poteva giustificare la ricca varietà del mondo fenomenico. Tutte le forme di materia, non importa quanto varie, si potevano ridurre a una comune materia primordiale, ma come si erano prodotte inizialmente? La produzione di varietà dall'unità sembrava postulasse un effetto maggiore della sua causa. Il problema di Newton era simile ma più ampio di quello generale dell'origine di forme e qualità nella teoria corpuscolare. Dalle particelle di una materia universale con solo proprietà matematiche primarie, non sembrava che ci fosse una «ragion sufficiente» perché sorgessero forme e qualità. Ma sorgevano, e in una tale incredibile e ben ideata profusione che le spiegazioni causali basate su interazioni meccaniche sembravano del tutto insufficienti. Come Newton giunse infine a dire nello Scolio Generale ai Principia, «La cieca necessità metafisica [cioè l'azione meccanica], che è certamente la stessa sempre e dovunque, non potrebbe produrre una varietà di cose». La varietà richiede una qualche causa ulteriore. È prodotta dalla vegetazione. Come disse nel 1672:
<< Perciò, dato che gli stessi cambiamenti possono essere prodotti da leggeri mutamenti delle tinture dei corpi nella chimica comune e altri esperimenti simili, molti potrebbero ritenere che tali cambiamenti fatti dalla natura avvengano nello stesso modo, cioè solo per mezzo di abili trasposizioni dei corpuscoli più densi, perché le qualità sensibili dipendono solo dalla loro disposizione. Ma, dato che questi cambiamenti sono prodotti così velocemente per vegetazione da non poterlo essere senza, dobbiamo ricorrere a qualche causa aggiuntiva. E questa differenza è enorme e fondamentale perché niente potrebbe essere mai fatto senza la vegetazione che la natura usa per produrlo >>.
La distinzione di Newton tra chimica meccanica e vegetale perciò appare cruciale per la sua soluzione del problema teologico posto dall'eredità cartesiana. La chimica meccanica si può giustificare semplicemente con materia e moto, quando si ristrutturano solo grandi corpuscoli. Mutamenti in questo dominio possono sembrare «trasmutazioni strane», ma sono solo «addensamenti o separazioni meccaniche di particelle» e non richiedono una spiegazione aggiuntiva. Ma per tutta quella grande classe di esseri che la natura produce per vegetazione - «tutta quella varietà di cose naturali che noi troviamo adattate a tempi e luoghi diversi» - dobbiamo ricorrere a una qualche causa ulteriore. In ultima analisi, la causa è Dio, Dio che nella Sua saggezza e con la Sua autorità, la Sua sollecitudine provvidenziale, e gli scopi finali noti solo a Lui, produce tutta la varietà: la diversità naturale «non può provenire che dalle idee e dalla volontà di un Essere necessariamente esistente». All'interno del regno della chimica vegetale, dove Dio fa queste cose, sta il campo in cui opera la Sua guida continua del mondo, un'area di sollecitudine provvidenziale. Il Dio di Newton, malgrado tutta la sua trascendenza, non era un latifondista ozioso.
Se Dio era la causa ultima, ciò che Newton voleva trovare nel mondo naturale era la causa più prossima dei fenomeni della vita, l'agente di Dio in questo ambito. Gli scritti teologici di Newton, in effetti, rivelano un Dio così totalmente «altro» dalla Sua creazione, che ci si attende un simile agente dovunque la Divinità agisca nel mondo:
<< Che Dio padre è uno spirito infinito, eterno, onnisciente, immortale e invisibile che nessun occhio ha visto o può vedere... e Dio non fa nulla da sé che può fare con un altro >>.
A Newton sembrava giusto che Dio usasse una «creatura» per realizzare la sua volontà, dato che questo accresceva il potere divino (...)
Si è sostenuto che Newton abbia rifiutato decisamente agenti intermedi tra Dio e il mondo, ma sia gli scritti alchemici che quelli teologici sembrano infirmare questa conclusione. Newton si misurò per molti decenni con la definizione precisa di un tale agente, anche se respinse alcuni tipi di intermediari e rifiutò in modo piuttosto esplicito di vedere la Divinità attraverso lenti neoplatoniche come anima del mondo. Ma negli scritti alchemici lo spirito alchemico, l'attivatore vitale universale, secondo il giudizio di Newton agiva in un certo senso per Dio nel mondo. Era un agente intermedio nel continuo governo del mondo di Dio.
Newton non aveva scrupoli teologici nei riguardi di un agente universale attivo che agisse per Dio nel mondo, per produrre e guidare i processi della vegetazione; al contrario accoglieva volentieri l'esistenza di questo spirito come forza accertabile della Provvidenza. Era proprio ciò di cui si occupava l'alchimia. Nelle parole di un anonimo alchimista che Newton studiò attentamente all'inizio del diciottesimo secolo, lo spirito alchemico era il «Vicegestore» di Dio, ed era per mezzo dell'alchimia che l'uomo poteva «penetrare attraverso l'involucro esterno delle cose, sino allo spirito interno operante... e così diventare uno che Apre e Manifesta le Meraviglie di Dio nella Natura». Il legame tra chimica vegetale e attività divina era innegabile, e Newton intese l'alchimia come uno tra i più importanti, se non il più importante, dei suoi studi. Se tutto andava bene, avrebbe dimostrato l'azione di Dio nel mondo in modo assolutamente irrefutabile, dimostrando le operazioni dello spirito vegetale non meccanico, e quindi arrestando per sempre lo spettro dell'ateismo".
- fine del brano
per non abusare, mi limito ad un telegrafico ed opinabile commento personale; non so fino a che punto il pensiero riportato sia di Newton, piuttosto che della Dobbs, ma vorrei notare che, a mio avviso, tra percezione di una inspiegata "chimica vegetativa" (diversa da quella meccanica) e supposizione dell'azione continua di un agente straordinario, emanazione di Dio, esiste un vero e proprio salto logico; come la pensate ? siete in disaccordo ? pensate che non esista alcun salto ? oppure pensate che il salto si faccia ma sia del tutto giustificabile ? e come ?
ciao
semplice-mente